Carpooling e infortuni in itinere: il PSCL come strumento di tutela assicurativa

La mobilità condivisa rappresenta una componente sempre più strategica nei Piani di Spostamento Casa-Lavoro (PSCL) delle aziende italiane. Tra le varie soluzioni, il carpooling - la condivisione del tragitto con colleghi a bordo di un’auto privata - si distingue per efficacia e semplicità implementativa. Tuttavia, questa pratica solleva importanti interrogativi in materia assicurativa: cosa accade in caso di infortunio durante il tragitto condiviso? La questione, cruciale per ogni Mobility Manager, merita un chiarimento definitivo.
Il quadro normativo dell’infortunio in itinere
La tutela assicurativa degli infortuni in itinere è disciplinata dall’art. 12 del D.Lgs. 38/2000, che copre gli incidenti “occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro”. La norma specifica inoltre che “l’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato”.
Il concetto di “necessità” dell’uso del mezzo privato rappresenta il fulcro interpretativo della norma. Tradizionalmente, l’INAIL riconosce la necessità del mezzo privato in precise circostanze:
- Assenza di mezzi pubblici che collegano abitazione e luogo di lavoro
- Mancata coincidenza tra orari dei mezzi pubblici e turni di lavoro
- Risparmio di tempo significativo (almeno un’ora per tragitto)
- Difficoltà oggettiva a raggiungere il luogo di lavoro con mezzi pubblici
- Distanza eccessiva tra abitazione e fermata del mezzo pubblico
Il trattamento specifico del carpooling
Ma cosa accade quando più dipendenti condividono lo stesso veicolo?
L’interpretazione normativa non è chiara. Come evidenziato dal Prof. Antonino Longo in un articolo pubblicato su IPSOA nel 2016, il carpooling resta ancora escluso da una specifica disciplina in materia di infortuni in itinere. Questa lacuna normativa è particolarmente significativa considerando che l’INAIL ha storicamente circoscritto le ipotesi di indennizzo al caso di tragitto percorso a piedi, con mezzi pubblici o in bicicletta, fatti salvi i casi di utilizzo necessitato di mezzi privati.
Tuttavia, a distanza di qualche anno dall’articolo del Prof. Longo, l’introduzione nel 2020 di una legge sul Mobility Management ha introdotto un importante tassello normativo che ha potuto portare a una interpretazione evolutiva favorevole.
L’equiparazione alla bicicletta: una svolta interpretativa
Una delle più interessanti evoluzioni interpretative in questo ambito è l’equiparazione del carpooling alla bicicletta dal punto di vista assicurativo.
Per la bicicletta, la legge 221/2015 ha stabilito una presunzione di necessità, rendendo sempre indennizzabili gli infortuni occorsi durante l’utilizzo del velocipede, senza necessità di dimostrare la mancanza di alternative di trasporto pubblico.
Secondo una recente interpretazione specialistica, il carpooling può godere di un trattamento analogo, in quanto entrambe le pratiche perseguono la stessa finalità di tutela ambientale, oggi ulteriormente rafforzata dalla modifica dell’art. 41 della Costituzione.
La chiave di questa equiparazione risiede nella formalizzazione del carpooling all’interno del Piano Spostamenti Casa-Lavoro aziendale.
Il PSCL come strumento di tutela assicurativa
L’inserimento formale del carpooling nel PSCL rappresenta quindi l’elemento cruciale per garantire la piena copertura assicurativa dei dipendenti. Per massimizzare l’efficacia di questa tutela, il piano deve definire chiaramente modalità e limiti di utilizzo del carpooling.
Come evidenziato da Giovanni Piglialarmi nel Bollettino ADAPT del 22 maggio 2023, “la tutela dell’ambiente potrebbe essere la ‘leva giuridica’ attraverso la quale rileggere il concetto di ‘normale percorso di lavoro’ rispetto al car-pooling, tenendo conto del recente orientamento giurisprudenziale secondo il quale il concetto di ‘normalità’ del percorso va necessariamente valutato anche alla luce dei ‘valori guida dell’ordinamento giuridico’, tra i quali non può che rientrare anche la tutela ambientale”.
Lo stesso articolo sottolinea che “a tutti i lavoratori dipendenti di aziende che adottino un piano di mobilità nel quale sia contemplata l’ipotesi di car-pooling (purché nel piano siano definite modalità e limiti di utilizzo di tali mezzi, quali numero minimo o massimo di passeggeri da trasportare, quali piattaforme poter utilizzare, a chi addebitare il costo, quali autorizzazioni richiedere al datore di lavoro etc.) non possono ritenersi scoperti dalla tutela assicurativa obbligatoria in caso di infortunio in itinere; anzi, per questi ultimi, potrebbe operare la presunzione della necessità già prevista per il velocipede”.
Il trasporto pubblico come strumento normale per la mobilità delle persone
È fondamentale ricordare che, al di là delle specifiche tutele per il carpooling, l’ordinamento italiano considera il trasporto pubblico come lo strumento normale per la mobilità delle persone. La Corte di Cassazione, nella sentenza 22670/2018, ha stabilito in modo inequivocabile che “è il mezzo di trasporto pubblico lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio della strada”.
Per i Mobility Manager, questa impostazione giurisprudenziale offre un sostegno normativo concreto alle politiche di promozione della mobilità sostenibile. La chiara gerarchia stabilita dalla Cassazione (prima il trasporto pubblico, poi il mezzo privato) traccia un percorso preciso per le strategie di mobility management aziendale. Incorporare questi principi nel PSCL non solo migliora la compliance normativa, ma fornisce anche un solido fondamento per politiche di disincentivazione dell’uso individuale dell’auto, orientando i dipendenti verso soluzioni collettive che, oltre a ridurre l’impatto ambientale, garantiscono anche maggiore sicurezza e tutela in caso di infortunio.

Paolo Barbato è il CEO e co-fondatore di Wiseair, una società che si occupa di soluzioni data-driven per la mobilità sostenibile e la gestione della qualità dell'aria.